giovedì 29 marzo 2012

La quinta stagione di Mad Men e la mia acquolina (per non parlare di bava)




Come ormai è noto sono una adepta della serie. E' una serie che piace tanto alle amanti del vintage, a quelle che pagherebbero a peso d'oro una mutanda degli anni 50 o un portacenere degli anni 60. Ma non solo. E' una serie che piace tanto a quelle che lavorano negli uffici. Perché saranno pur passati decenni, ma alcune dinamiche goliardiche barra scoperecce le troviamo ancora in auge.
Siamo alla quinta stagione. Il protagonista (slurp) Donald Draper s'è risposato. Questa volta ha optato per l'ex-segretaria di origine francese, Megan. Quando ancora nell'immaginario maschile, essere di origine francese era sinonimo di erotismo e non di scarpe con la suola di plastica o carenza di un'igiene intima adeguata. Da lì il famoso french kiss, che di francese non ha niente se non l'appellativo. Che cos'è un french kiss? Ma soprattutto, a qualcosa a che vedere con la french manicure? Se lo smalto si spalma con la lingua, può essere. Un french kiss è un bacio col rifrullo, chiamato così dagli anglosassoni perché, appunto, consideravano i francesi dei gran passionali. Ma torniamo in argomento.
La prima puntata della nuova serie si intitola A little kiss (per darmi soddisfazione la dovevano intitolare French kiss, ma non si può avere sempre tutto) ed è una puntata densa.
Parlando seriamente ho sempre considerato Mad Men come il risultato geniale di un lunghissimo gioco di metafore, a partire dal titolo di ogni puntata, sino ad arrivare al soundtrack che la chiude. Chi la considera vuoto spinto evidentemente non è in grado di leggere. Basterebbero un paio di occhiali, di quelli buoni.

venerdì 23 marzo 2012

The Daniel Radcliffe in Black. Ovvero, l'arte di riproporre gli avanzi.


    





Mia nonna, ed in parte anche mia mamma, continuano ad avere questa dote. Riescono, con pochi ed astuti accorgimenti, a riproporre il giorno dopo gli avanzi sotto una nuova luce. I miei occhi e le mie papille gustative hanno incontrato fettine di carne già conosciute, ma con sapori nuovi e a volte ancora più gustosi. Piatti di pasta al pomodoro trasformati in succulenti timballi con tutto dentro; risotti lavorati a mo' di crocchette (in questo caso non cambia solo il sapore, ma anche la forma); e come dimenticare la celeberrima crêpe con dentro la besciamella e il bollito tritato, la famosa palacinka di croata memoria?
Diciamoci la verità: una volta terminata la saga del maghetto più amato del mondo, tutti ci siamo un po' chiesti cosa avrebbero fatto gli attori. Una scenografia la puoi anche riciclare in qualcuno dei 3478000 teatri londinesi, ma un attore...tipo Radcliffe, dove minchia lo appoggi? Uno che da piccolo aveva la faccia da Harry Potter e che crescendo si è trasformato in un basso, tozzo e pelosetto inglese medio con scarsissime doti recitative, dove lo piazzi? Dove lo metti uno che ha sempre l'aria d'aver cacato poco? Dove lo collochi uno con la voce da schiarire e la sindrome da abbandono?
Idea! Facciamogli fare un ghost movie molto gotico, di quelli tanto tanto tanto inglesi, con le nebbie, la villa abbandonata nella palude (intelligentissimi questi architetti ottocenteschi, dove te la vanno a costruire una mega villa con il parco se non nel bel mezzo delle maree?), i cavalli che nitriscono, le bimbe infiocchettate che bevono il té, i carillon e le porte che cigolano. Facciamo gli originali anche nel titolo e chiamiamolo The Woman in Black.
Beh, forse è vero che il nuovo lavoro di James Watkins non vince per originalità, come già accaduto con il convincente Eden Lake, però il film è godibile, nonostante Radcliffe, il quale ha costantemente la stessa espressione dall'inizio alla fine. Non sa recitare, non sa comunicare, prendiamone atto e releghiamolo in qualche teatrino di periferia, perché nonostante gli sforzi per cambiargli il look, a cominciare dai capelli, rimane un attore incompiuto e decisamente poco portato, anche quando è diretto discretamente.
Il film invece funziona. E The Woman in Black rimane un horror di genere che non va più in là del dignitoso, ma che ci piace.

Pagellina:

regia 7/10
interpretazioni 5/10
sceneggiatura 6/10
colonna sonora n.c.

martedì 13 marzo 2012

Tyrannosaur, il peso degli estinti





Film britannico dell'anno scorso, non se uscirà mai nelle sale italiane, spero vivamente di si. Evito di scrivere trama e cast, trovate tutto qui http://www.imdb.com/title/tt1204340/
Scritto e diretto da Paddy Considine, attore inglese che ha deciso di dedicarsi alla regia con notevolissimi risultati, per altro.
Pellicola fortemente impregnata da interpretazioni tutte indimenticabili e incisive. Un grandissimo Peter Muller e un'altrettanto notevole Olivia Colman al suo primo ruolo cinematografico. Non sto a snocciolare le candidature ed i premi vinti, li trovate qui http://en.wikipedia.org/wiki/Tyrannosaur_(film)

E' un film proiettato al futuro, infatti la maggior parte delle sensazioni conclusive che si provano non sono mostrate, ma immaginate dallo spettatore. Quello che si vive attraverso la visione della pellicola, è il dramma della rabbia e della frustrazione vissuto secondo due punti di vista, quello di Joseph e quello di Hannah, entrambi colpiti a pugni dalla vita. Percorrendo percorsi emotivi e fisici diversi, ma ugualmente violenti, riusciranno a trovare l'uno nell'altra la voglia e il coraggio di andare oltre, e probabilmente anche di amarsi. Il tirannosauro è un grosso animale feroce estinto, metafora perfetta che riassume il concetto che sta alla base della poetica della pellicola. Tyrannosaur è il nomignolo con il quale Joseph ricorda la moglie obesa defunta; animali giganteschi sono i ricordi, estinti ma sempre presenti, i cui fossili riempiono il museo della nostra anima.
La poesia smarrita e la devastazione dei sentimenti presenti nei sobborghi di una periferia da incubo ma reale, sono orami i temi cari a questo nuovo cinema indipendente inglese, che trae ispirazione da quello di Ken Loach e di Mike Leigh, senza tralasciare il gusto per una ricerca tutta personale e una regia "tecnica" a tratti commuovente. Questo Tyrannosaur (così come Fish Tank) è un chiaro esempio di quanto sia vigile e ispirato il nuovo cinema britannico.


Occhio alla colonna sonora ;)

Pagellina:
regia 8/10
interpretazioni 9/10
sceneggiatura 6.5/10
colonna sonora 8/10


lunedì 12 marzo 2012

War Horse il film senza cazzi né mazzi



WARNING questa non è una recensione. Dopo qualcosa tipo due anni riprovo a scarabocchiare qualcosa in merito alla settima arte. Senza darmi arie. Non me ne sono mai date, ma non si sa mai. Sempre meglio precisare.
War Horse, il film di Steven Spielberg praticamente passato inosservato, è un capolavoro. Lo so che detto così può sembrare leggermente azzardato, invece non lo è. Sono serissima. Perché è un capolavoro? Boh. Perché lo è, così come il mare è salato e lo zucchero è dolce.
Perché è considerato filmetto di serie B per bambini scemi? Perché è anche un filmetto di serie B per bambini scemi. Spielberg è quel tipo di regista "che gli viene facile facile". Con War Horse è riuscito a creare un film che, oltre a portare la sua impronta e la sua poetica, si porta appresso tutti i classicismi del cinema hollywoodiano dimenticato, inserendo punte di estrema ironia e divertissements vari che tappezzano il film quà e là e lo rendono ancora più prezioso.
Difficile riuscire ad apprezzare un film che non stupisce per mazzi o cazzi. Dove non ci sono lunghe pause di silenzio introspettivo, dove non ci sono inquadrature sghembe, baci saffici, crani spappolati, primi piani di volti sfatti, donne che piangono col rimmel colato, dialoghi farciti di turpiloquio creativo, finali a sopresa o (meglio ancora) finali dove muoiono tutti oppure dove qualcuno rimane solo a crogiolarsi nel suo male di vivere. Qui il finale lo sappiamo tutti, cioè finisce bene. Porca pupazza, un film nel 2012 finisce bene e tu ci vuoi far credere che trattasi di capolavoro? Ma che ti sei bevuta, l'acetone?
La mia ammirazione nei confronti del regista di ET non è sempre stata costante. Quando sventolano bandiere a stelle e strisce mi viene l'orticaria, in generale. Dipende molto da come sventolano, quelle di Spielberg sono bandiere patriottiche e da brava italiana, non riesco a provare empatia per il patriottismo ostentato, né per la retorica contenuta in esso. Niente da dire, invece, nei confronti dello Spielberg fantascientifico, che ho sempre amato molto. Né nei confronti di quello che ha voglia di raccontare storie perché gli sembrano fighe, tipo Prova a prendermi. Amore e odio nei confronti de Il Soldato Ryan, amore assoluto, invece, nei confronti della tecnica. Mi piace come dirige, mi piacciono le sue scene d'azione. Mi piace War Horse. Mi piace la favola, mi piace il concetto di guerra che ne deriva, mi piace il cavallo, inteso come animale nobile al servizio assoluto dell'uomo. Mi piace la guerra del cavallo, o il cavallo da guerra.
Mi piacciono: la terra dura da arare, la speranza, lo scoramento, la pioggia, le zolle che si staccano, la semina ed il raccolto. Mi piace questo Spielberg.