mercoledì 31 marzo 2010

Alice in wonderland




Diciamo che più che un film è un compromesso, tra la Disney che cerca la vendita di gadget e si contiene da diversi anni a questa parte in un solo tipo di film (inizio che scivola dalla realtà alla fantasia--->percorso dentro la fantasia con varie creature e situazioni--->lotta tra il bene e il male----->finale melenso con addii e saluti) e un genio, quello di Burton, che per quanto ci provi, non riesce a rientrare in nessun canone (se non nel suo) senza scivolare nell'errore. Si sente che questo film avrebbe potuto essere un capolavoro, l'otto e mezzo burtoniano. I presupposti c'erano tutti, bastava che si lasciava guidare dal non sense di Alice, bastava che lo lasciavano libero di fare, di sceneggiare, di costruire una storia suasulle basi di quel fottuto capolavoro che è Alice. E a tratti questo traspare, nella caratterizzazione della regina rossa o nella messa in scena del tea party, così malinconico e lugubre: ed io in quei momenti qualche brividino l'ho provato...io che non sono mai stata una burtoniana, ma che ho sempre considerato Burton un genio pazzo, un cappellaio matto del nostro millennio, un artista a 360 gradi, così personale e così prorompente. Però l'impressione che si ha durante la visione, è che il genio abbia ceduto al business, che la sua arte si sia prostituita come una vecchia baldracca, che una volta era splendida, ma che adesso comincia a diventare patetica e sovraccarica. C'è troppo di tutto, e al tempo stesso c'è il vuoto artistico. Non credo che Burton non abbia più le carte in regola per giocare la sua partita, io credo (e da questo film ancora si nota) che il genio sopravvive, però deve tornare ad essere libero, deve tornare a creare per se stesso, deve tornare ad essere folle e a non allineare le matite temperate (chiedo in prestito una scena de Gli Incredibili) sulla scrivania. Burton non può essere un impiegato, qualcuno gli dia carta bianca...oppure si prenda una pausa e ritorni ad essere se stesso.
Il film non è brutto, ma non è all'altezza del suo autore.

martedì 30 marzo 2010

incontri e solitudini


incontri e solitudini
Inserito originariamente da diane selwyn

The boys are back (anticipazione)





Australia: Joe, dopo la morte prematura della moglie, si trova solo con il figlioletto e si inventa un rapporto libero e quasi animalesco, fatto di momenti euforici, ma anche di difficoltà. Le cose cambiano nuovamente quando a raggiungere la coppia arriva Harry, figlio adolescente di primo letto, con il quale Joe impara a rapportarsi, pur non conoscendolo.

Clive Owen l'ho trovato
calato perfettamente nel ruolo, molto, molto bravo...finalmente credibile! (negli ultimi ruoli è stato solo ridicolo).
Film che sotto certi aspetti mi ha ricordato Kramer contro Kramer, il recupero del rapporto padre-figlio è ben delineato e realistico. Non ci sono sbaciucchiamenti o abbracci fuori posto (mi riferisco al figlio più grande), ma solo complicità e affinità nei desideri e nello stile di vita. Il contrasto tra il college inglese e la selvaggia Australia è metaforico di un rapporto (quello tra genitore e figlio) che può essere libero e istintivo (Joe) oppure dettato da regole e dettami legati all'apparenza più che alla sostanza. Il figlio più grande sceglierà l'amore del padre perchè libero e spontaneo. Nonostante viva "like a pig" e dimostri più di una volta l'incoscienza tipica del lato maschile genitoriale, incoscienza che Harry pagherà caramente.
Non mi è piaciuta molto la parte iniziale, la scelta di mostrare l'agonia della moglie, l'ho trovato superflua e dolorosamente gratuita. Invece le apparizioni della moglie mi sono piaciute, sono domande verso le quali Joe cerca risposte, in realtà non è la moglie a rispondere, ma è lui stesso a prendere le decisioni, supportato dai ricordi della donna che ama. Di vere apparizioni se ne parla solo una volta (la madre di lei) però non ci vengono mostrate. E mi è piaciuta la scelta di far vedere ciò che è possibile (il ricordo di una persona scomparsa che aiuta a vivere) e di non mostrare ciò che è inutile (visioni legate al dolore di una perdita).
In ogni caso un film che si esplica soprattutto nel dialogo tra Joe e Harry al pub, l'importanza del ruolo paterno e la tendenza che generalmente abbiamo un po' tutti nel pensare che un figlio piccolo abbia più bisogno di una madre che di un padre. Grande, grandissimo errore.

7.5/10

sabato 27 marzo 2010

Francesca e il pollice rosso




Devo potare le rose.
Devo trapiantare i fiori nei vasi.
Devo sistemare le aiuole.
Perchè il pungitopo non mette le foglie?
La forsizia è fiorita, però mi pare rachitica.
Il ciliegio ha le gemme.
Il susino è fiorito, che peccato dov'è messo non me lo godo.
Il prato sarebbe da tagliare (marito provvedi) però ci sono le margherite e un po' mi spiace.
Il gatto si arrampica sulla robinia spoglia, la rovinerà?
La siepe frontale stenta a crescere, mentre la photinia laterale è piena di gemme.
Quella strana pianta inglese che piantai per sbaglio due o tre anni fa, ha fatto morire l'alloro e sta soffocando il rosmarino...che faccio, la levo che fa dei meravigliosi fiorellini rossi?
Le rose appoggiate alle rete sono fottute.
Idem per quanto riguarda il gelsomino.
La magnolia a cespuglio ha le gemme, però mi ricordo che l'anno scorso in questo periodo era già fiorita.
Devo abbellire il pergolato con qualche rampicante.
Il melo mi piace moltissimo, è l'albero da frutto che più amo. Peccato che appena mette le foglie prende un virus che le fa accartocciare.
Il bosso è un po' giallino a causa del freddo. Spero.
I tigli del viale sul quale si affaccia il mio giardinetto sono ancora spogli, ma quando mettono le foglie ed i fiori sprigionano un profumo estasiante.
Devo imparare a piantare i bulbi.


Potenzialmente ed idealmente sarei un'ottima giardiniera.
(Intanto mi accontento della foto della mia pianta dai fiori rossi, non mi è venuta male..)

giovedì 25 marzo 2010

Sotto la sabbia (2000)







Altro film di François Ozon, il primo che segnerà la trilogia del lutto.
Charlotte Rampling interpreta Marie, un'insegnante di letteratura che si reca insieme al marito Jean nella loro casa alle Lande per trascorrere una vacanza. Durante il soggiorno, però, il marito scompare inghiottito dall'oceano. La moglie disperata dà il via alle ricerche che però non danno esito. Ritroviamo così Marie a Parigi all'apparenza tranquilla, che svolge la sua vita tra lavoro, palestra e cene con gli amici. Però la donna ha un triste problema, non riesce ad accettare la scomparsa del marito (che molto probabilmente è morto) e vive la sua vita come se la persona da lei sempre amata fosse sempre al suo fianco. Neanche alla fine, di fronte alle prove inconfutabili della morte del marito, Marie sembra accettarne la scomparsa. Fino a quando la sua mano sprofonda sotto la sabbia di quella spiaggia, e un pianto liberatorio la mette di fronte al suo dolore: il dolore della perdita.
Sembra quasi che Ozon in questo bel film, prenda come pretesto la morte e la separazione forzata, per parlare di legami forti e indissolubili. Due persone che si fondono in una sola, che sono un corpo solo. Non a caso Marie vuole vedere i resti del corpo di Jean, per far morire definitivamente la parte di sè che ormai si è persa.
8.5/10

mercoledì 24 marzo 2010

8 donne e un mistero (2002)















Dopo aver parlato di Angel, continuo a consigliare i film di François Ozon, regista troppo interessante per passare inosservato (non mancherò di scrivere qualcosa anche sul resto della sua filmografia).
8 donne e un mistero è un film che spiazza in continuazione. Girato in un interno, come una pièce teatrale, è un po' sullo stile di Agatha Christie, un po' musical (le otto protagoniste a turno cantano una canzone e ballano), un po' dramma e un po' commedia comica. Caratteristica del regista in questione, è quella di adoperare e rivisitare stili classici che hanno segnato la storia del cinema. La pellicola si pregia di battute intelligenti e riesce ad inquadrare la psicologia e le sfaccettature delle otto donne protagoniste. Un cast eccezionale composto da attrici francesi di nuova e vecchia generazione: Deneuve, Huppert, Ardant, Bèart, Darrieux.
Le vicende che si snodano all'interno della villa in una giornata di neve, girano intorno alla morte del marito di Gaby (Deneuve), trovato morto sul letto dalla cameriera (Bèart). Isolate dal tempo nevoso e dall'impossibilità di comunicare con la polizia (qualcuno ha tagliato i fili del telefono) le protagoniste cercano interrogandosi a vicenda, di scoprire l'assassina.
In realtà oltre al giallo, Ozon cerca un pretesto per approfondire le psicologie delle donne e per trattare i legami strettamente femminili (rancori, invidie, rapporti madre-figlia, sessualità) che legano le une alle altre, e lo fa rivelando pezzettini delle loro vite uno alla volta, come colpi di scena.
Commedia amara che ricorda Cukor per le battute e l'ironia, che profuma di Hitchcock (l'acquistò per fare un film che però non girò mai) per gli elementi legati alla suspence e al giallo, che si rifà al Truffaut di L'uomo che ama le donne. Un gran film, che svela al pubblico internazionale un regista, François Ozon, eclettico e libero nell'espressione della sua arte.

9/10

venerdì 19 marzo 2010

E' complicato


E' complicato essere originali con una commedia del genere. Infatti si finisce con lo scivolare nei soliti clichè visti e rivisti, di sorridere con qualche battuta carina, di ammirare l'ennesima buona interpretazione della Streep. Ma anche di adorare le villette americane con prato perfetto, le camere da letto candide e luminose con i fiori nei vasi sempre freschi, l'orto nel quale cogliere grossi e sugosi pomodori maturi, l'assistere estasiati alla preparazione di un croissant al cioccolato, il vedere la famiglia del mulino bianco anche se i genitori sono divorziati, ecc ecc ecc.
Tutto questo è forzatamente finto, però la Streep è sempre la Streep e Baldwin che non è mai stato un grande attore, qui ci mostra un lato diverso. Ma il film rimane insufficiente, anche se non gravemente.

giovedì 18 marzo 2010

Eden Lake (2008)









Oggi ho voglia di parlare di un film che appartiene ai recuperi. Pellicola inquietante che ho deciso di vedere dato che sto ripassando la cinematografia di Michael Fassbender, new entry tra "i miei" attori talentuosi. E anche abbastanza carino...diciamo, hem...passabile.
La storia è piuttosto semplice, una coppia di fidanzati innamorati e felici, decidono di passare un weekend immersi nella natura, sulle rive di un romantico laghetto circondato da una foresta selvaggia. Purtroppo le cose non vanno come dovrebbero, quando i due incontrano un gruppo di bulli, una gang di minorenni violenti e senza scrupoli.
Niente di nuovo all'orizzonte, il film sfrutta schemi narrativi e trovate abbastanza usuali che arricchiscono la visioni di suspence e pathos. Però il film è decisamente ben fatto, salti sulla poltrona se ne fanno a raffica, e le tematiche di base sono abbastanza attuali. Fino a che punto arriva la meschinità umana, e cosa spinge i minorenni di oggi a trovare espressione e appagamento nella violenza più bruta? Che significato ha "il branco" ed è vero che basta un solo elemento negativo a trascinare tutti gli altri nell'abisso? Da quale contesto sociale sono circondati questi ragazzi?
Due gli elementi riassuntivi: i filmini fatti col cellulare dall'unica ragazza del branco, che non usa violenza, ma che cerca di catturarla; e i rayban tanto desiderati ed infine ottenuti, dal capetto della gang.
Film indie britannico, che si merita un 7/10.


lunedì 15 marzo 2010

Shutter Island





Film che a mio parere raggiunge la sufficienza sindacale, ma che non ha niente a che vedere con lo Scorsese del meraviglioso Il Promontorio della paura. Per diversi motivi.
Il primo e il più importante, sono i personaggi. Dov'è finito il regista che attribuiva ai suoi caratteri, sia i comprimari che le figura di contorno, uno spessore e una sfaccettatura psicologica da far paura? Dove sono finiti i dialoghi accesi, intensi, intelligenti, che fanno dei suoi film il punto di sincronizzazione tra spettatore e pellicola? Ma soprattutto: dov'è finito Scorsese?
No, perchè mi pare che in questo film ne abbiamo visto molto poco. Perchè alla bellezza di alcune scene (penso alla carrellata della sparatoria, o allo splendido incipit) si contrappongono alcune sequenze (la maggior parte) di una banalità e di una superficialità uniche. In cui un Di Caprio forzatissimo (che in questo film conosce solo due espressioni: preoccupato senza occhio lucido/preoccupato con occhio lucido) si muove tra pazzi più normali dei medici, e tra medici che sembrano usciti dal film "L'invasione degli ultracorpi". Nel senso che sono degli automi inespressivi che non apportano niente alla pellicola, compreso l'immenso Max Von Sydow, che fa la figura del baccalà messo lì solo perchè è Max Von Sydow.
Poi dopo tre quarti d'ora che vedi la faccia di di caprio preoccupato e pensi "mannaggia, mi piacerebbe vedere un uomo" cominci a pensare che non sia la scelta giusta. E mi spiace dirlo, perchè ho sempre difeso quest'attore, non ho mai espresso pareri negativi, sono sempre stata ben disposta. Supportata soprattutto dalla capacità di trasferire emozioni che Di Caprio ha. Ma questa volta e con questo film, penso che a Scorsese farebbe bene cambiare feticcio, basta, non se ne può più. In The departed funzionava, era in parte, anche perchè film corale. In The aviator perfetto (ma quello era un film di Scosese e si vedeva), ma qui in cui l'intera faccenda è affidata ad un film dalle basi traballanti, la faccia immatura e piagnucolona di Di Caprio non fa altro che peggiorare l'insieme.
Tornando alla pellicola, ho trovato la sceneggiatura debole nei dialoghi, sono entrata in sala convinta di provare i brividi che si hanno con film del genere, e invece non ho provato niente. Alcune cose mi hanno fatto persino sorridere "Amore, perchè sei bagnata?"...ma dai....oppure il dialogo col pazzo dietro le sbarre, quello con gli zigomi a punta....forzatissimo. O le varie apparizioni con Michelle Williams, per carità bellissima, ma moscissima e noiosa. Tutte le volte che la sognava, pensavo "oh no, ancora!". Per non parlare del finale nel faro...oddio, quasi imbarazzante nelle spiegazioni dell'arcano, puerile e didascalico.
Insomma: debole e didascalico affronto delle tematiche (ma non è che mi aspettassi chissà cosa), interpretazioni al di sotto delle aspettative e delle capacità, dialoghi al limite del pietoso, sceneggiatura poco convincente.
Un Pasticcio.

Angel - La vita, il romanzo (2007)






Il regista francese François Ozon si conferma talentuoso, questa volta rievoca il cinema anni 40 per tirarne fuori un melò con tutti i crismi. Angel ricorda Rossella in Via col vento, e incarna l'artista che vive nel suo mondo fantastico, pagandone amaramente le conseguenze. Lo stesso Ozon ha dichiarato che c'è qualcosa di autobiografico nella personalità della protagonista, così chiusa dentro la sua arte da non riuscire a prendere contatto con la realtà. Angel perde la sua identità quando capisce che la sua scrittura può essere non più al servizio di se stessa, ma un mezzo per ottenere le ricchezze che ha sempre desiderato. Prime fra tutte Paradise, un'opulenta villa simile ad un castello di una principessa. L'arte come mezzo per ottenere beni effimeri, contrasta con l'arte personale ed incompresa di Esmé, che al contrario di Angel, si esprime solo per se stesso. I suoi quadri non possiedono ambizione, e rappresentano un mondo grigio e intimo che contrasta fortemente con i colori forti e sfacciati della protagonista. Esmè pagherà per amore, Angel soffrirà per amore, portando entrambi su due strade che si incrociano solo apparentemente. In realtà i due sono distanti anni luce, così come può essere distante il cinema sussurrato e autoriale, da quello strombazzato e volgarmente appariscente.
Insomma, un film che al suo interno possiede molte più tematiche di quanto possa sembrare, un film che parla prima di arte, poi d'amore, in cui lo stampo melò non è altro che un linguaggio per raccontare e per affrontare temi molto più profondi e interessanti.

10/10


giovedì 4 marzo 2010

RED CARPET (le migliori interpretazioni 2008/2009)




















Mi mancano ancora alcuni film da vedere, ma mi posso già sbilanciare e assegnare le mie medaglie al valore interpretativo di questo biennio. Non sono molte, perchè sono in genere molto severa con le prove attoriali (forse più che con quelle registiche), ma quelle che ho attribuito sono sicure!



Ryan Gosling (Lars and the real girl) Per aver reso viva una bambola
Laura Linney (La famiglia Savage) Incarnazione perfetta delle nevrosi femminili moderne
Daniel Day Lewis (There will be blood) Quando l'uomo si fa film
Paul Dano (There will be blood) Per essersi fatto notare nonostante Daniel Day Lewis
L'intero cast (Gomorra) Uomini persi
Carlo Buccirosso (Il Divo) Mezza sega italiota
Naomi Watts (Funny Games US) Operaia delle emozioni
Heath Ledger (Batman TDK) Brividi di terrore
Christian Bale (Rescue Dawn) Sofferenza e ottimismo nel magnare vermi
Angelina Jolie (Changeling) Chi l'avrebbe mai detto
Leonardo Di Caprio (Revolutionary Road) Capacità continua di farmi ricredere
Sean Penn (Milk) Perfezione interpretativa nell'imperfezione del personaggio
Michael Fassbender (Hunger) fame
Mikey Rourke (The Wrestler) Nessun personaggio
Marisa Tomei (The Wrestler) Dignità
Clint Eastwood (Gran Torino) Padre
Christoph Waltz (Bastardi senza Gloria) Non è mai troppo tardi
MIchael Stuhlbarg (A serious Man) Al servizio del caos
Johnny Depp (Nemico Pubblico) Bye bye Jack Sparrow







IL CONCERTO


Film assolutamente delizioso e mi sento in dovere di sottolineare lo splendido discorso sull'orchestra e sul significato di esecuzione corale, che Alexeï Guskov pronuncia sul finale. Quando dice che "l'orchestra è il mondo" dice una cosa profondamente vera e assolutamente metaforica nella rappresentazione di quella che è l'unione sovietica, ma più in generale, il mondo di oggi. Anche in questo film si esalta l'importanza della multietnicità, della mescolanza delle culture e del talento "di strada", visto come risorsa fondamentale e nuova dall'arte contemporanea. Perchè attraverso la spinta artistica si raccontano le epoche, i sentimenti, le passioni e si guarda al futuro con occhi diversi. In questo film in cui la storia personale si mischia al capolavoro di Tchaikovsky, il regista si conferma grande autore ironico e al tempo stesso, grottesco. Attraverso la leggerezza apparente dei suoi film, ci racconta mondi sgretolati, e lo fa con grazia e intelligenza.

Che bei film che sto vedendo in questo periodo...


ah, Mélanie si conferma bravissima attrice.

mercoledì 3 marzo 2010

FISH TANK




Film visto a Londra non ancora uscito nelle sale italiane, consiglio vivamente la visione quando uscirà.

Durante la visione di questo film pensavo ad Avatar, e mi venivano in mente le incoerenze del mondo. Se penso che Cameron ha lavorato più di dieci anni e speso milioni e milioni di dollari per ottenere l'effetto "immedesimazione", quando con film del genere (che evidentemente costano 3 sterline) si ottiene un effetto più prorompente, ma soprattutto, più vero....
La camera si muove, bracca e scruta la protagonista per tutta la durata della pellicola, facendo compiere allo spettatore un processo totale di immedesimazione. Noi durante la visione del film siamo Mia, usciamo dalla nostra pelle per vivere le vicissitudini di un'altra persona. Per questo motivo questo film è un gran bel film. Ma non solo. Le tematiche sono importantissime, fondamentali. I film sull'adolescenza rischiano sempre di cadere nella banalità, qui fortunatamente il rischio è scampato. Il mondo di Mia è un universo stretto e alienate, sembra terzo mondo invece è la civile inghilterra, a due passi dalla città più importante d'europa (non lo dite ai francesi!). Ma in questo mondo cattivo e che non offre prospettive, si consumano e si vivono gli stessi problemi adolescenziali di qualsiasi altro tipo di realtà. Per questo la pellicola è di ampio respiro e offre tematiche universali. Ma nel buio della sua vita, Mia riesce ad aprire uno spiraglio di speranza, che porta il film ad un sano e doveroso ottimismo finale (doveroso perchè il nichilismo altrimenti sarebbe risultato eccessivo).

Ho letto che il film è stato girato seguendo l'ordine cronologico, e che agli attori veniva fatta leggere la sceneggiatura un pezzettino alla volta, settimana per settimana, così da rendere la loro recitazione il più naturale possibile. Questo è un metodo che ho sempre ritenuto molto efficace, e i risultati ci sono.