lunedì 23 novembre 2009

Gran Torino

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Chiusura del cerchio. Finisce la storia di un uomo, arriva la resa dei conti finale, quella che ti mette di fronte alla tua vita e ti chiede di scegliere quale strada prendere.

In un momento in cui la cinematografia tenta sempre di stupire e spesso di allucinare evitando la riflessione, un Clint Eastwood ottantenne entra in punta di piedi nelle sale cinematografiche, regalandoci il suo ultimo capitolo da protagonista. Difficile rimanere indifferenti alle sue storie, questa volta lo è ancora di più, perchè l'epopea del "padre" aperta con Un Mondo Perfetto, continua ancora e giunge al traguardo regalandoci le risposte ai perchè, ma non solo. Gran Torino è un film estremamente stratificato, ricco di riflessioni sociali, allineato con i tempi. In questo periodo di crisi non solo economica, ma anche sociale, in cui gli Stati Uniti riflesso della società occidentale, stanno perdendo la loro vecchia identità per acquistarne una nuova, Eastwood tira fuori la risposta, la chiave per uscire dal bunker delle incertezze. Il sacrificio dei padri deve servire ai figli, ma anche a migliorare un mondo che non è perfetto, ma che sicuramente offre spunti. Non bisogna avere paura dei cambiamenti.

Si ripete il tema padre-figlio, già affrontato in passato, che ha trovato il suo miglior esempio in Million Dollar Baby. I figli non sempre sono sangue del nostro sangue, ma sono le nuove generazioni nella loro interezza, e i padri hanno la grande fortuna di poter trasmettere la forza e la speranza.

Eastwood continua ad interrogarsi su Dio, e probabilmente nemmeno alla fine riesce a trovare le risposte. Attraverso il suo ghigno, la sua voce roca, le sue birre ghiacciate, le armi lucide, il suo incedere da cowboy, il suo ordine e la sua regia asciutta; il vecchio attore/regista ci fa riflettere, ci emoziona e per l'ennesima volta durante la visione di un suo film, mi scendono lacrime di commozione.

Capolavoro.

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